L’autunno è il tempo dei raccolti e ottobre è il mese delle castagne. Non esiste più da decenni la ruralità rappresentata ne L’accestire dal Pascoli, e le figurazioni liriche del suo Il vecchio castagno non traspongono all’oggi la ciclicità delle stagioni, la circolarità dell’economia, la sussidiarietà tra natura e generazioni; la civiltà consumistica ha drasticamente accoppato quella di sussistenza. L’italico albero del pane – per scomodare di nuovo il poeta nazionale e socialista – sollecita però ancora sentimenti di riguardo e deferenza, per la sua maestosa umiltà e per essere stato generoso e democratico bancomat alimentare erogatore dei “cereali” che fruttificano tra le sue fronde: le castagne, ricche di carboidrati e prodighe di minerali.

Una vecchia saga narra che Dio donò le castagne a un popolo che non aveva di che sfamarsi; il Diavolo per dispetto ci mise il riccio; Dio allora incise una croce sul riccio e favorì la fuoriuscita dei frutti; il popolo ringraziò per l’inaspettato reddito di cittadinanza, credette e adorò; sarà per questo che le castagne è dato di raccoglierle solo inchinandosi. Credulità e metafora politica a parte, gli storici dell’agronomia dicono che i castagni hanno trapassato indenni ere climatiche glaciali o surriscaldate e che da millenni le castagne sfamano umani e animali.

L’uomo contemporaneo pare proiettato verso la levità di una nuova Belle Époque digitale e globale; vaga volentieri alla ricerca di panorami incantati e di shopping emozionali, noncurante se le tipicità di un territorio siano inventate dalla propaganda turistica oppure siano autentiche; gli basta l’autoscatto geo localizzato da esibire sui media, si compiace specchiandosi nei selfie autoreferenziali. Si necessita più di diete che di calorie, di svaghi per occupare il tempo libero, di attività ricreative per compensare logorii e paure, di evocazioni frugali e di nostalgie facili per mascherare l’ignoranza, di riti collegiali per colmare le solitudini esistenziali.

Almeno al “mal d’autunno” sembrano rimediare le castagne, grazie a componenti che ne fanno “il frutto della felicità” e grazie alle moltissime sagre dedicate (in Italia circa 1500), che danno letizia ai convenuti e gioia ai contadini, per i prezzi, che a chilometro zero (anche più di 6 Euro al chilo) sono decisamente migliori di quelli medi all’ingrosso di 2/3 Euro al chilo ben che vada, marroncini compresi (va meglio però al Nord che al Sud). Anche quest’anno il Covid obbliga ad annullare molte feste, o a ridimensionarle, col timore che parte della produzione tradizionale rimanga invenduta o sottopagata; un peccato per i produttori e anche per i comitati castanicoli, che promuovono coscienza verso i valori naturali e collettivi e sentimenti di resistenza e di amore per i territori, le specialità, i paesaggi storici.

A darci un’idea della produzione castanicola mondiale ci aiutano i dati FAO: 2,5 milioni di tonnellate complessive (175 miliardi di castagne contando in media 70 acheni pro chilo, 23 castagne per ogni abitante della terra), delle quali più del 80% in Asia (più di 1,5 milioni di tonnellate solo in Cina), il 10% in Europa e il resto in giro per il pianeta fino alle Americhe. Dall’Associazione Nazionale Città del Castagno ci dicono che la produzione italiana post Cinipide è verso le 30mila tonnellate (lo 0,12% della produzione mondiale), ma mancano dati ISTAT aggiornati. Anche sulle pendici basaltiche del Monte Baldo è iniziata la raccolta di castagne e marroni: nei paesi trentini del versante Nord (Besagno, Castione, Crosano) e nei comuni veronesi del Marrone di San Zeno, marrone che ha ottenuto la certificazione DOP (una delle attuali dodici certificazioni europee alle castagne italiane, nessuna trentina) per meriti sostanziali e per la fama acquisita anche grazie ai versi dedicatigli da Goethe; e ancora qualcuno si ostina a credere che la poesia non serva a nulla.

By Quinto Canali

Segretario dell'APS Monte Baldo Patrimonio dell'Umanità ed Ex-assessore di Brentonico