Questa settimana siamo andati ad intervistare Giuseppe Pippa, uno dei reduci che hanno partecipato alla campagna di Russia durante la seconda guerra mondiale.
La lucidità con cui riporta alla memoria gli eventi di quei giorni lontani è impressionante, sembra di vederli proiettati su uno schermo davanti ai nostri occhi, fin nei minimi particolari.

Ciò che vorremmo raccontare è l’intenzione di Giuseppe Pippa, detto Bepi per tutti i compaesani, di farsi portavoce dei compagni caduti (9 dei 26 sanzenati partiti) e soprattutto di testimoniare: gli orrori della guerra, la crudeltà dello sparare su intere macchie di persone e vederle accasciarsi al suolo, la mancanza sistematica del cibo, il freddo, le cure mediche mancate, la cancrena e il puzzo morboso delle ferite di guerra. Sono cose che a noi sembrano ora così distanti, nel nostro mondo europeo “perfetto” senza scontri a fuoco né carestie. Eppure non vi è dubbio alcuno che la tranquillità di cui godiamo oggi si poggi non solo sulle azioni di questi coraggiosi reduci, ma anche sulla loro intenzione di “non dimenticare”. Un’intenzione che si legge chiaramente negli occhi del Bepi, finché racconta di episodi traumatici in cui rimasero coinvolti anche i suoi compagni. Per esempio di come attraversavano il Don per invadere gli appostamenti nemici, quando un povero compagno doveva gettarsi per primo con una fune, per poter legare una delle estremità ad un albero sulla riva opposta, tutto questo nel mezzo del famigerato gelo della Russia.
Nella mente del Bepi gli orrori che ha vissuto sono più vivi che mai, ma ricorda anche i momenti felici con grande gioia, come quando ha organizzato un compleanno per i 20 anni di un suo compagno, con un tozzo di pane come torta e delle pagliette come candeline; 7 in tutto, come il numero di partecipanti alla piccola celebrazione.
“Ai tempi c’era un detto che recitava – quando arrivo ai 20 anni non muoio più – ed io ora ero contento per questo mio amico e dissi ad un certo punto – vedi, adesso non morirai nemmeno tu!” riporta il Bepi sull’accaduto.
Un altro aspetto molto importante su cui soffermarsi è questo: sebbene il Bepi fosse da un lato dello schieramento, in “opposizione” a quello russo, non ha mai visto nei soldati russi dei nemici: ciò che vedeva erano uomini come lui, costretti a scendere fino all’inferno per la cupidigia di altre persone, forzati a vivere una vita che non avrebbero mai scelto se fosse dipeso da loro. Tant’è vero che lo stesso Bepi ha ricevuto numerosi aiuti da parte dei civili russi finché era al fronte, specialmente razioni di cibo.
Di rimando, nel periodo successivo alla ritirata, durante le lotte partigiane, racconta di aver aiutato a tornare a casa un gruppo di soldati tedeschi indicando loro la via, da San Zeno di Montagna, per poter arrivare in Germania, facendoli passare da punti strategici dove non avrebbero incontrato partigiani.
I soldati sono poi stati comunque intercettati, e il Bepi se l’è vista brutta coi capi dei partigiani per aver aiutato il nemico, ma lui commenta che “Quei soldati erano disarmati e vedevo in loro solo il desiderio di tornare dalle loro famiglie” e non si è mai pentito di quello che ha fatto.
Credo che, per concludere, Giuseppe Pippa sia un ottimo ed estremo esempio di come a volte un po’ di carità e di amore possano aiutare molto di più del classico “occhio per occhio” a superare le difficoltà.

Consigliamo, per chi fosse interessato a un riassunto della sua intera esperienza, il libro “La mantellina engiassà”, pubblicato dalla Piccola Biblioteca di Cà Montagna in collaborazione con il gruppo Scatti della Memoria. Dal “La Voce delle Contrade” è tutto.
Articolo di:
Riccardo Aloisi
Michele Lenotti